I suoi murales dipinti per più di quarant'anni con una foga e una dedizione totale tanto da rimanere incollato sui ponteggi anche per giorni, mangiando e dormendoci sopra, raccontano delle vicende del suo popolo, dei peones, della loro schiavitù passando per le antiche civiltà (dalla azteca alla zapoteca, alla totonaca, huasteca) avvalendosi di uno stile descrittivo-folkloristico, coniugando il vecchio e il nuovo, il moderno e l'antico con personaggi dai tratti sicuri, severi che vanno a formare gruppi compatti di forme, di volumi, di colore. Riporta nei murales anche le tre figure fondamentali della rivoluzione messicana Hidalgo, Juarez, Zapata, ma la sua fede politica (si autodimetterà dal partito nel '29 per coerenza non potendo lavorare per i borghesi e rimanere al contempo comunista) lo porta anche a disegnare un Marx e un Lenin ed è proprio per quest'ultima figura da lui rappresentata in un'opera al Rockefeller Center di New York (1933) che viene licenziato e l'opera distrutta. Si reca più volte negli Stati Uniti anche insieme a Frida nel '31 è a San Francisco poi a New York, a Detroit. "Autoritratto" (1954, 26x30 cm) non ci mostra più il Rivera dongiovanni, il seduttore, quanto un uomo ormai sofferente forse della morte di Frida o per via del suo male inguaribile, non è dato saperlo ma certo non è più quell'uomo brillante pieno di fascino che attirava le donne le incantava con il suo modo di fare ma piuttosto un uomo maturo arrivato alla fine di una vita colma di eventi.
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