De Chirico, Ziegler & C.
scandalizzano New York
La mostra sull'arte europea tra le due guerre al Guggenheim attaccata dal New York Times. L'accusa: "Gronda sangue"
MARCO BELPOLITI
L’America scopre l’arte europea tra le due guerre e si scandalizza. Salendo lungo la spirale del Guggenheim per la mostra «Caos and Classicism» si è attirati, oltre che dalle centottanta opere esposte, dai commenti che il pubblico fa davanti alle teste di Benito Mussolini riprodotte in scultura da Ernesto Michahelles e da Renato Bertelli.
Colpisce la gente vedere quanto siano moderne, e forse anche attuali, molte delle sculture e dei quadri esposti, e constatare come l’arte di Picasso (i nudi femminili degli Anni Venti), con il suo sfibrante classicismo delle figure giganti, sia imparentata con quella di uno scultore fascista, Arturo Martini.
Si tratta della medesima tensione formale verso una lingua espressiva che cerca di definire il corpo in rapporto alla somma delle tensioni che, tra gli Anni Venti e gli Anni Trenta, attraversano una Europa in subbuglio. Ma il New York Times, accusa il curatore della mostra Kenneth E. Silver di aver tentato di falsificare la storia, occultando cosa c’è dietro, dal punto di vista politico, a queste opere d'arte. Diciamolo subito, per gli americani, anche per quelli mediamente colti, e non solo per loro, questa mostra (il cui titolo completo è «Caos and Classicism. Art in France, Italy and Germany, 1918-1936») all’apparenza inoffensiva al nostro occhio di continentali, piena di opere, per quanto riguarda l’Italia e la Germania, già ampiamente viste nel corso delle esposizioni europee degli ultimi trent’anni, lo sconcerto e lo shock deve essere stato non piccolo. La testata newyorkese ha scritto che la mostra gronda sangue.
Ma com’è possibile che l’America non abbia ancora fatto i conti con quello che è accaduto in Europa tra le due guerre, prima e durante l’ascesa dei fascismi? Salvo che nelle università la cultura di quel Paese non si è misurata con la complessità delle linee artistiche e culturali che preparano il fascismo, che lo sposano e che in seguito se ne distaccano, almeno in parte, all’inizio degli Anni Quaranta, e durante la guerra, oppure vi restano tenacemente attaccati, come nel caso del grandissimo e fascistissimo Mario Sironi. Un autore tedesco che insegna in America, Wolfgang Schvelbusch, ha scritto di recente un libro in cui paragona gli Stati Uniti di Roosevelt, l’Italia di Mussolini e la Germania di Hitler tra loro, un volume che non è stato letto fuori dai circoli intellettuali. Gli americani ignorano che persino Mies van der Rohe, all’inizio degli Anni Trenta, aveva simpatie per il nazismo.
Il titolo dell’esposizione racchiude bene il senso di questa doppia valenza dell’arte europea tra la sconfitta dei Fronti popolari, l’avvento del nazionalsocialismo e la guerra mondiale. Il caos è ciò che preme sotto e dentro il classicismo di autori come Carrà, Arturo Martini, Giò Ponti, Sironi; è un caos magmatico carico di ribellione all’ordine, di catastrofe interiore, di melanconia e di sessualità prorompente. Quello che colpisce di più nelle opere esposte è proprio l’erotismo che promana da quadri, sculture, oggetti. Un breve film di Jean Cocteau, Le san d'un poète (1930) lo esprime molto bene: un artista a confronto con la sua statua, mito di Pigmaglione, la quale prende forme sempre più umane, uscendo dalla sua gabbia di marmo e ribellandosi al proprio creatore. La rovina classica è la perfetta metafora dell’andare in pezzi di un ordine, quello tradizionale: nei movimenti degli Anni Venti è esplicitamente richiesto e agognato, e insieme respinto. L’Europa è attraversata, come si coglie sia dalle pitture di Léger, sia in quelle di Oppi e di Morandi, da un bisogno di trovare una risposta al caos che si manifesta in quei vent’anni; in particolare, alla forma di ansietà presente anche nelle architetture di Le Corbusier, oltre che nelle pitture di Balthus e di altri artisti. Per chi conosce il travaglio intellettuale di autori come Bataille, Caillois, Benjamin, sa quale crogiuolo sia stata l’arte e la letteratura di quel periodo, tesa tra poli opposti, in senso politico come artistico.
Il fascismo che ricorre alla monumentalità, che costruisce il mito di Roma antica e il nazismo che ricerca l’aura della Grecia classica ne sono un esempio. Il corpo è il protagonista dell’esposizione: il corpo femminile e soprattutto quello maschile, ritratto da Marcel Gromaire, Lorenzo Lorenzetti e Albert Janesh, la cui tempera dei rematori impressiona per il culto quasi omosessuale delle figure ritratte. L’eros caotico che aspira all’ordine è sintomo di un malessere profondo, un disequilibrio con cui la cultura figurativa americana del periodo non si è mai misurata. Basta uscire dal Guggenheim e andare alla mostra di Hopper e dei suoi amici, al Whitney, per capire quale distanza passi tra il disordine eclettico e vivacissimo dell’Europa e la pittura dell’uomo comune del pittore newyorkese.
Senza dubbio è la politica a fare la differenza. La sezione intitolata The Dark side of Classicism è dominata da alcune grandi carte eroiche di Sironi, dai Gladiatori di De Chirico, dal nudo di Kolbe e soprattutto dai quattro nudi femminili (Die vier Elemente) di Adolf Ziegler: tre pannelli conservati nella residenza di Monaco del Führer, simbolo perfetto del binomio caos/classicismo, ma anche forme archetipiche immaginarie di una nuova razza: tedesca, bianca, bionda, polposa. Il critico del New York Times ha visto giusto, ma ha guardato in una sola direzione, mentre Kennet E. Silver, con la sua elegante ed essenziale mostra, ha disposto in realtà molti percorsi lungo l’unica strada che dal basso della galleria di Wright conduce verso l’alto, senza mai disfare il suo cadenzato movimento.
Colpisce la gente vedere quanto siano moderne, e forse anche attuali, molte delle sculture e dei quadri esposti, e constatare come l’arte di Picasso (i nudi femminili degli Anni Venti), con il suo sfibrante classicismo delle figure giganti, sia imparentata con quella di uno scultore fascista, Arturo Martini.
Si tratta della medesima tensione formale verso una lingua espressiva che cerca di definire il corpo in rapporto alla somma delle tensioni che, tra gli Anni Venti e gli Anni Trenta, attraversano una Europa in subbuglio. Ma il New York Times, accusa il curatore della mostra Kenneth E. Silver di aver tentato di falsificare la storia, occultando cosa c’è dietro, dal punto di vista politico, a queste opere d'arte. Diciamolo subito, per gli americani, anche per quelli mediamente colti, e non solo per loro, questa mostra (il cui titolo completo è «Caos and Classicism. Art in France, Italy and Germany, 1918-1936») all’apparenza inoffensiva al nostro occhio di continentali, piena di opere, per quanto riguarda l’Italia e la Germania, già ampiamente viste nel corso delle esposizioni europee degli ultimi trent’anni, lo sconcerto e lo shock deve essere stato non piccolo. La testata newyorkese ha scritto che la mostra gronda sangue.
Ma com’è possibile che l’America non abbia ancora fatto i conti con quello che è accaduto in Europa tra le due guerre, prima e durante l’ascesa dei fascismi? Salvo che nelle università la cultura di quel Paese non si è misurata con la complessità delle linee artistiche e culturali che preparano il fascismo, che lo sposano e che in seguito se ne distaccano, almeno in parte, all’inizio degli Anni Quaranta, e durante la guerra, oppure vi restano tenacemente attaccati, come nel caso del grandissimo e fascistissimo Mario Sironi. Un autore tedesco che insegna in America, Wolfgang Schvelbusch, ha scritto di recente un libro in cui paragona gli Stati Uniti di Roosevelt, l’Italia di Mussolini e la Germania di Hitler tra loro, un volume che non è stato letto fuori dai circoli intellettuali. Gli americani ignorano che persino Mies van der Rohe, all’inizio degli Anni Trenta, aveva simpatie per il nazismo.
Il titolo dell’esposizione racchiude bene il senso di questa doppia valenza dell’arte europea tra la sconfitta dei Fronti popolari, l’avvento del nazionalsocialismo e la guerra mondiale. Il caos è ciò che preme sotto e dentro il classicismo di autori come Carrà, Arturo Martini, Giò Ponti, Sironi; è un caos magmatico carico di ribellione all’ordine, di catastrofe interiore, di melanconia e di sessualità prorompente. Quello che colpisce di più nelle opere esposte è proprio l’erotismo che promana da quadri, sculture, oggetti. Un breve film di Jean Cocteau, Le san d'un poète (1930) lo esprime molto bene: un artista a confronto con la sua statua, mito di Pigmaglione, la quale prende forme sempre più umane, uscendo dalla sua gabbia di marmo e ribellandosi al proprio creatore. La rovina classica è la perfetta metafora dell’andare in pezzi di un ordine, quello tradizionale: nei movimenti degli Anni Venti è esplicitamente richiesto e agognato, e insieme respinto. L’Europa è attraversata, come si coglie sia dalle pitture di Léger, sia in quelle di Oppi e di Morandi, da un bisogno di trovare una risposta al caos che si manifesta in quei vent’anni; in particolare, alla forma di ansietà presente anche nelle architetture di Le Corbusier, oltre che nelle pitture di Balthus e di altri artisti. Per chi conosce il travaglio intellettuale di autori come Bataille, Caillois, Benjamin, sa quale crogiuolo sia stata l’arte e la letteratura di quel periodo, tesa tra poli opposti, in senso politico come artistico.
Il fascismo che ricorre alla monumentalità, che costruisce il mito di Roma antica e il nazismo che ricerca l’aura della Grecia classica ne sono un esempio. Il corpo è il protagonista dell’esposizione: il corpo femminile e soprattutto quello maschile, ritratto da Marcel Gromaire, Lorenzo Lorenzetti e Albert Janesh, la cui tempera dei rematori impressiona per il culto quasi omosessuale delle figure ritratte. L’eros caotico che aspira all’ordine è sintomo di un malessere profondo, un disequilibrio con cui la cultura figurativa americana del periodo non si è mai misurata. Basta uscire dal Guggenheim e andare alla mostra di Hopper e dei suoi amici, al Whitney, per capire quale distanza passi tra il disordine eclettico e vivacissimo dell’Europa e la pittura dell’uomo comune del pittore newyorkese.
Senza dubbio è la politica a fare la differenza. La sezione intitolata The Dark side of Classicism è dominata da alcune grandi carte eroiche di Sironi, dai Gladiatori di De Chirico, dal nudo di Kolbe e soprattutto dai quattro nudi femminili (Die vier Elemente) di Adolf Ziegler: tre pannelli conservati nella residenza di Monaco del Führer, simbolo perfetto del binomio caos/classicismo, ma anche forme archetipiche immaginarie di una nuova razza: tedesca, bianca, bionda, polposa. Il critico del New York Times ha visto giusto, ma ha guardato in una sola direzione, mentre Kennet E. Silver, con la sua elegante ed essenziale mostra, ha disposto in realtà molti percorsi lungo l’unica strada che dal basso della galleria di Wright conduce verso l’alto, senza mai disfare il suo cadenzato movimento.
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