Dalle “Strutturazioni pulsanti” alle “Topoestesie”: si apre domani al Castello la retrospettiva di uno dei protagonisti della ricerca Anni 60
ROCCO MOLITERNI
RIVOLI
Costruire l’opera d’arte visiva, come viene costruito un test, lasciando alle sue componenti tutta l’ambiguità percettiva sufficiente a impedire all’osservatore di avviarsi verso una sola e sicura interpretazione»: in questa frase di Gianni Colombo c’è la chiave per capire una ricerca che l’ha portato dalle prime sculture, alla Arp o alla Miró, in cui potevi toccare e manipolare l’opera, fino ai grandi ambienti spaziali, in cui devi stare attento a dove metti i piedi, perché il gradino non è quello che ti aspetti. A riassumere e ripercorrere questa ricerca che ha segnato l’arte italiana del secondo dopoguerra, è la mostra che si apre domani nella Manica Lunga del Castello di Rivoli a cura di Carolyn Christov-Bakargiev, direttrice del Museo, e Marco Scotini, dell’Archivio Colombo.
«La dimensione ludica, il gioco e la leggerezza erano le forme comunicative preferite da Colombo - spiega la Christov-Bakargiev - espressioni di un antiintellettualismo di matrice Dada che nel XX secolo ha spesso accompagnato proprio le persone più consapevoli dei disastri provocati dall’eccesso di seriosità». Colombo, nato a Milano nel ‘37, si diploma all’Accademia di Brera con una tesi su Max Ernst (è già un’opera d’arte come si può vedere in mostra) e il surrealismo è una delle sue fonti di riferimento, così come alcune teorie del futurismo, attraverso la rielaborazione di Fontana, che proprio in quegli anni domina con il suo Spazialismo la fervente scena artistica milanese. Una scena artistica dove gli scambi e gli incontri tra artisti, musicisti, designer (fra questi il fratello di Colombo, Joe, i due spesso lavorano insieme) e fotografi avvengono tanto in gallerie di tendenza come Azimut, quanto al mitico bar Giamaica. Nel 1959 nasce il gruppo T di cui Colombo fa parte con Anceschi de Vecchi, Boriani e più tardi la Varisco, proprio quel gruppo proporrà un’arte «cinetica, programmata e ottica».
Sono gli anni dell’euforia che porterà al boom, dell’ottimismo nei confronti della scienza e dell’industria, dell’utopia riformista di Olivetti, e nei lavori di Colombo si respira questo clima. C’è l’idea molto democratica che il visitatore debba diventare parte integrante dell’opera stessa (un «tecnico» lo definisce Colombo), sia che semplicemente la possa toccare (Le superfici in variazione,1959, Rotoplastik, 1960, Rilievi intermutabili, 1974) sia che la possa percorrere e “abitare”, (Strutturazione cinevisuale, 1967, Spazio elastico, 1967, Bariestesia, 1974-1975, Topoestesia, 1977). Un’arte fatta di «opere aperte», secondo la definizione di Umberto Eco, che nel 1962 curerà e scriverà anche un saggio per una mostra itinerante di Colombo & C.
Oggi la definiremmo «arte interattiva». Un’interazione tra opera e spettatore che però non è all’insegna della fredda razionalità, anzi Colombo cerca di spiazzarti, di farti viaggiare alla frontiera fra conscio e inconscio. A differenza dei surrealisti «la relazione che Colombo indagava - dice ancora la curatrice - non era quella del sogno vero e proprio, nè della veglia, ma dello spazio ambiguo e incerto al limite tra questi, come fosse una universo ancora notturno dell’alba dove il sogno continua quando siamo già un po’ svegli». E questi passaggi dal buio alla luce li ritroviamo in un’opera di grande poesia come 0-220 volt, con grandi e piccoli quadrati sovrapposti dove è la luce a disegnare l’opera con il variare della sua intensità. Una luce che potremmo definire sensuale perché la sensualità è una delle caratteristiche di opere come le Strutturazioni pulsanti, dove quadrati di polistirolo si muovono impercettibilmente, quasi al ritmo di un respiro, suscitando nello spettatore spiazzamento. Lo stesso che si prova entrando nelle grandi Topoestesie, non a caso memori della casa «pazza» del celebre cortometraggio di Buster Keaton. Luoghi che oggi sembrano ispirare artisti come Bartolini, a dimostrare quanto la ricerca di Colombo (scomparso nel ‘93) sia ancora attuale.
Fino al 10 gennaio
La mostra «Gianni Colombo», a cura di Carolyn Christov-Bakargiev e Marco Scotini, si inaugura martedì 16 settembre al Museo del Castello di Rivoli e sarà visibile fino al 10 gennaio 2010. Martedì alle 17 ci sarà una tavola rotonda con i curatori e Marcella Beccaria, Guy Brett e Francesco Poli. Alle 19 un concerto con le musiche preferite di Gianni Colombo, con dj set Sergio Ricciardone. Accompagna la mostra una rassegna dei film preferiti di Colombo, a cura di Massimiliano e Gianluca De Serio. Sabato 26 settembre a mezzanotte visita guidata alla mostra con Achille Bonito Oliva. Info. www.castellodirivoli.org.
Costruire l’opera d’arte visiva, come viene costruito un test, lasciando alle sue componenti tutta l’ambiguità percettiva sufficiente a impedire all’osservatore di avviarsi verso una sola e sicura interpretazione»: in questa frase di Gianni Colombo c’è la chiave per capire una ricerca che l’ha portato dalle prime sculture, alla Arp o alla Miró, in cui potevi toccare e manipolare l’opera, fino ai grandi ambienti spaziali, in cui devi stare attento a dove metti i piedi, perché il gradino non è quello che ti aspetti. A riassumere e ripercorrere questa ricerca che ha segnato l’arte italiana del secondo dopoguerra, è la mostra che si apre domani nella Manica Lunga del Castello di Rivoli a cura di Carolyn Christov-Bakargiev, direttrice del Museo, e Marco Scotini, dell’Archivio Colombo.
«La dimensione ludica, il gioco e la leggerezza erano le forme comunicative preferite da Colombo - spiega la Christov-Bakargiev - espressioni di un antiintellettualismo di matrice Dada che nel XX secolo ha spesso accompagnato proprio le persone più consapevoli dei disastri provocati dall’eccesso di seriosità». Colombo, nato a Milano nel ‘37, si diploma all’Accademia di Brera con una tesi su Max Ernst (è già un’opera d’arte come si può vedere in mostra) e il surrealismo è una delle sue fonti di riferimento, così come alcune teorie del futurismo, attraverso la rielaborazione di Fontana, che proprio in quegli anni domina con il suo Spazialismo la fervente scena artistica milanese. Una scena artistica dove gli scambi e gli incontri tra artisti, musicisti, designer (fra questi il fratello di Colombo, Joe, i due spesso lavorano insieme) e fotografi avvengono tanto in gallerie di tendenza come Azimut, quanto al mitico bar Giamaica. Nel 1959 nasce il gruppo T di cui Colombo fa parte con Anceschi de Vecchi, Boriani e più tardi la Varisco, proprio quel gruppo proporrà un’arte «cinetica, programmata e ottica».
Sono gli anni dell’euforia che porterà al boom, dell’ottimismo nei confronti della scienza e dell’industria, dell’utopia riformista di Olivetti, e nei lavori di Colombo si respira questo clima. C’è l’idea molto democratica che il visitatore debba diventare parte integrante dell’opera stessa (un «tecnico» lo definisce Colombo), sia che semplicemente la possa toccare (Le superfici in variazione,1959, Rotoplastik, 1960, Rilievi intermutabili, 1974) sia che la possa percorrere e “abitare”, (Strutturazione cinevisuale, 1967, Spazio elastico, 1967, Bariestesia, 1974-1975, Topoestesia, 1977). Un’arte fatta di «opere aperte», secondo la definizione di Umberto Eco, che nel 1962 curerà e scriverà anche un saggio per una mostra itinerante di Colombo & C.
Oggi la definiremmo «arte interattiva». Un’interazione tra opera e spettatore che però non è all’insegna della fredda razionalità, anzi Colombo cerca di spiazzarti, di farti viaggiare alla frontiera fra conscio e inconscio. A differenza dei surrealisti «la relazione che Colombo indagava - dice ancora la curatrice - non era quella del sogno vero e proprio, nè della veglia, ma dello spazio ambiguo e incerto al limite tra questi, come fosse una universo ancora notturno dell’alba dove il sogno continua quando siamo già un po’ svegli». E questi passaggi dal buio alla luce li ritroviamo in un’opera di grande poesia come 0-220 volt, con grandi e piccoli quadrati sovrapposti dove è la luce a disegnare l’opera con il variare della sua intensità. Una luce che potremmo definire sensuale perché la sensualità è una delle caratteristiche di opere come le Strutturazioni pulsanti, dove quadrati di polistirolo si muovono impercettibilmente, quasi al ritmo di un respiro, suscitando nello spettatore spiazzamento. Lo stesso che si prova entrando nelle grandi Topoestesie, non a caso memori della casa «pazza» del celebre cortometraggio di Buster Keaton. Luoghi che oggi sembrano ispirare artisti come Bartolini, a dimostrare quanto la ricerca di Colombo (scomparso nel ‘93) sia ancora attuale.
Fino al 10 gennaio
La mostra «Gianni Colombo», a cura di Carolyn Christov-Bakargiev e Marco Scotini, si inaugura martedì 16 settembre al Museo del Castello di Rivoli e sarà visibile fino al 10 gennaio 2010. Martedì alle 17 ci sarà una tavola rotonda con i curatori e Marcella Beccaria, Guy Brett e Francesco Poli. Alle 19 un concerto con le musiche preferite di Gianni Colombo, con dj set Sergio Ricciardone. Accompagna la mostra una rassegna dei film preferiti di Colombo, a cura di Massimiliano e Gianluca De Serio. Sabato 26 settembre a mezzanotte visita guidata alla mostra con Achille Bonito Oliva. Info. www.castellodirivoli.org.