Ero solo una bambina.
E lei era una donna vecchissima, che arrivava nel cuore della notte. Nella penombra, vedevo avvicinarsi il guizzo dei suoi occhi sottili, al ritmo lento di un corpo ormai curvo. Non parlava, ma si capiva che le sue intenzioni non erano buone. Eccola, silenziosa, mi chiudeva in un grande sacco di juta e mi portava via. Non sapevo dove si stesse dirigendo e avevo paura. Ciò che il mio corpo percepiva era soltanto un ondeggiare intermittente e sospeso. Finché finalmente mi svegliavo, gridando a squarciagola da sotto le coperte: “Mammaaa, mammaa! C’è la vecchia!“.
“La vecchia”, già. Ripensandoci, rido. Ma era lei la protagonista dei miei incubi peggiori e di questo, col senno di poi, avevo sempre incolpato le fiabe: la strega di Biancaneve, quella di Hansel e Gretel, Crudelia De Mon della Carica dei 101 e via dicendo. Poi sono cresciuta e le paure, come per tutti, sono svanite o, meglio, cambiate. Forse.
E lei era una donna vecchissima, che arrivava nel cuore della notte. Nella penombra, vedevo avvicinarsi il guizzo dei suoi occhi sottili, al ritmo lento di un corpo ormai curvo. Non parlava, ma si capiva che le sue intenzioni non erano buone. Eccola, silenziosa, mi chiudeva in un grande sacco di juta e mi portava via. Non sapevo dove si stesse dirigendo e avevo paura. Ciò che il mio corpo percepiva era soltanto un ondeggiare intermittente e sospeso. Finché finalmente mi svegliavo, gridando a squarciagola da sotto le coperte: “Mammaaa, mammaa! C’è la vecchia!“.
“La vecchia”, già. Ripensandoci, rido. Ma era lei la protagonista dei miei incubi peggiori e di questo, col senno di poi, avevo sempre incolpato le fiabe: la strega di Biancaneve, quella di Hansel e Gretel, Crudelia De Mon della Carica dei 101 e via dicendo. Poi sono cresciuta e le paure, come per tutti, sono svanite o, meglio, cambiate. Forse.
Un giorno, qualche anno fa, stavo ammirando delle sculture in acciaio di ragni giganti, “Giant spiders”. Erano inquietanti, ma al tempo stesso mi attraevano. Avevano in sè una forza inspiegabile, un’anima, un significato che avrei voluto decifrare e fare mio prima di smettere di guardarli. “Io li associo a mia madre, perché il ragno è un animale che va a intrappolarsi negli angoli, gli angoli gli danno sicurezza. Ma lei non è intrappolata, anzi, cerca di intrappolare gli altri”. Leggevo con avidità le parole dell’autrice, Louise Bourgeois, chiedendomi che volto avesse.
Ed eccone una foto: viso quasi centenario, solcato dalle rughe, incorniciato da una lunga, contrastante chioma ed interrotto da due spicchi d’occhi luminosi e bambini, curiosi, furbi. “Oh, mamma!”. Eccomi, molti anni dopo, di nuovo preda di quell’indescrivibile sensazione di “rapimento” , che credevo soltanto un’onirica paura di bambina. Eccomi nel suo sacco di juta, colmo di buio e di domande inquiete, trascinato da mani screpolate dai loro quasi 100 anni, fluiti e trascorsi nelle grosse vene in rilievo.
Louise Bourgeois, classe 1911, parigina residente a New York, nonché una delle più importanti artiste del nostro tempo: perché tanta tensione? Forse, perché il suo viso non è quello della nonna di Cappuccetto Rosso né quello della fatina di Cenerentola. Dai suoi occhi non traspaiono favole, quanto la forza vorticosa del passato e del dolore, dei segreti che accompagnano la vita di ogni donna: l’abbandono, la morbosità del rapporto con la madre, i conflitti con il padre, il maschilismo sociale. Il suo percorso riflette l’arte femminile di saper elaborare il passato senza tuttavia poterlo rimuovere. Lo vediamo dalle sue sculture di archetipi e traumi dell’infanzia, della solitudine, della sessualità, nate dalla sua mente prolifica e forgiate dalle sue mani abili su marmo, bronzo, gesso, legno, ferro e lattice. L’artista scrive infatti nei suoi diari: “Tutto quello che produco è ispirato ai primi anni di vita. Ogni giorno devi disfarti del tuo passato, oppure accettarlo e, se non riesci, diventi scultrice”.
Ecco, allora, le sue opere autobiografiche: i suoi ragni di decine di metri, monumentali, ormai installati in diverse città a celebrazione della figura materna, e le sue trasfigurazioni dell’organo maschile, nell’opera Destruction of the Father del 1974, per superare i sensi di inferiorità inflitti dal padre.
Un’altra dote tipicamente femminile di Louise Bourgeois è la forza interiore e la costanza nel sacrificio. Prima di diventare famosa, l’artista ha passato la maggior parte della sua vita creando opere per se stessa, nel silenzio e nella solitudine, totalmente indifferente al successo mediatico. Solo nel 1982 è stata inaugurata una serie di sue retrospettive in tutto il mondo, come al MoMa, al Guggenheim, alla Tate Gallery, al Centre Pompidou e, nel 1993, l’artista ha rappresentato gli Usa alla Biennale di Venezia.
Forse è anche per la sua attività artistica lontana dai riflettori, che Louise Bourgeois non si è mai fatta nemmeno sfiorare dalle mode e dalle tendenze artistiche. E, a modo suo, è diventata scrigno e cella di quasi un secolo di esperienze autentiche, umane ed artistiche. Inoltre, la sua attività prosegue anche oggi, all’età di 98 anni: la domenica, accoglie nella sua abitazione di New York i giovani artisti di ogni nazionalità che vogliono incontrarla e mostrarle le loro opere. Ecco un altro pregio femminile: l’istinto materno verso i propri successori.